Let's stay in touch!
È assenza del bisogno di parole.
Ci sono silenzi che proteggono. Altri che graffiano. E poi c’è Mauna: il silenzio che ti lascia nudo, senza alcun ruolo da interpretare.
Nel mondo dello yoga, Mauna è una pratica, ma anche un destino. Non si sceglie alla leggera. E chi lo attraversa non ne esce più come prima. Perché Mauna non ti concede lo spazio per essere chi vuoi. Ti svuota, lentamente, fino a restare solo con ciò che sei davvero, senza narrazioni.
È un atto di radicale onestà.
Il termine Mauna deriva da muni: il saggio. Non colui che ha molte risposte, ma chi ha smesso di cercarne. Il Muni è colui che non parla, non per chiusura, ma perché ha compreso che la verità non si afferra — si attraversa.
Il concetto di Mauna si muove silenziosamente attraverso i testi classici:
Nella Bhagavad Gītā (17.16), il silenzio è incluso fra le austerità della mente. Mauna è citato accanto a mansuetudine, gentilezza e controllo dei sensi:
“Maunam ātma-vinigrahaḥ” — Il silenzio è dominio del sé.
Negli Yoga Sūtra di Patañjali, sebbene il termine “Mauna” non appaia direttamente, l’intero testo punta verso di esso. Lo stato di nirodhaḥ — la cessazione delle fluttuazioni della mente — non può essere spiegato, solo vissuto. La mente, per arrivarci, deve ammutolire.
Nella Hatha Yoga Pradīpikā, il silenzio è implicito: nella ritrazione sensoriale (pratyāhāra), nel contenimento del respiro (kumbhaka), nell’orientare l’energia senza disperderla in parola.
In tutti questi testi, Mauna è ciò che resta quando la forma cade.
È la sostanza invisibile della pratica.
Ramana Maharshi è forse l’incarnazione più chiara di Mauna nel XX secolo.Non parlava molto. Non perché non sapesse cosa dire, ma perché sapeva che dire sarebbe stato un errore.
Quando gli venivano fatte domande, restava in silenzio. E quel silenzio, paradossalmente, rispondeva.Non con concetti, ma con una qualità di presenza che spezzava il ritmo mentale di chi gli stava davanti.
Disse:
“Silence is the most powerful teaching.It is the perfect language.”
Per Ramana, la verità non ha bisogno di argomentazioni. Quando viene riconosciuta, si manifesta da sé. Le parole sono strumenti deboli, spesso barriere più che ponti.
In questo senso, Mauna è Jnana — conoscenza diretta.Non mediata. Non razionalizzata. Vissuta.
Il vero problema del silenzio è che ti mette davanti a te stessə, senza schermo. Quando smetti di parlare — e di pensare per parlare — ti accorgi di quanto rumore abiti. Quante frasi ti dici, quanti giudizi nascono come riflessi automatici. Quanti ruoli interpreti, anche da solo.
È lì che il silenzio si fa duro. Non ti consola. Ti guarda.
E se resisti alla tentazione di riempirlo — con contenuti, notifiche, affermazioni spirituali — allora può accadere qualcosa. Non un’illuminazione. Ma un piccolo strappo nell’ego. Un attimo in cui non hai bisogno di dire chi sei. Neanche a te stesso.
Non è necessario un ashram, né una stanza isolata. Il vero Mauna può cominciare anche in città. Nella tua mattina. Nel tuo spazio domestico.
Può essere un’ora senza parlare, una giornata senza spiegarti, o cinque minuti senza reagire. È pratica invisibile. Nessuno ti applaudirà. Ma comincia a farti più leggerə.
Alcuni modi per praticarlo:
Non spiegare.Lascia che ciò che vivi resti a volte non condiviso. Non sempre va detto.
Sospendi il commento mentale.Non trasformare ogni cosa che accade in un pensiero. Né in un’opinione.
Non correggere. Né fuori né dentro.Lascia che gli altri siano. Lascia che tu sia. Anche se è scomodo.
Fermati prima di reagire. Il silenzio comincia nella pausa tra lo stimolo e la risposta.
Torna al corpo. Respira. Ascolta. Non serve parlare per essere pienamente lì.
La disciplina del silenzio non è autocensura. È un'ascolto radicale.
Lo yoga, nella sua essenza, non è performance. È ritorno all’essere. E Mauna è il punto in cui tutte le tecniche si dissolvono. Dove smetti di fare per cominciare ad esistere.
È lì che il silenzio non è più assenza, ma saturazione. Pieno di realtà, di presenza, di verità che non hanno bisogno di forma.
Come scrisse Kapuściński parlando dell’Africa, ma che potremmo dire del silenzio stesso:
"Nelle pause, succede più che nei discorsi."
Mauna non è fuggire dal mondo. È smettere di cercare di tenerlo sotto controllo.
È uno spazio di nuda consapevolezza. Non lo si raggiunge spegnendo il suono, ma spegnendo il bisogno di reazione. È lì che comincia un altro tipo di intelligenza. Non quella che analizza. Quella che vede.
In un mondo che urla, Mauna è un atto rivoluzionario.
"Non c'è insegnamento più diretto del silenzio. Non c'è verità più spoglia."