Let's stay in touch!
Non sei sempre la stessa persona. Lo intuisci quando ti sorprendi a dire qualcosa che non ti somiglia. Quando ti svegli pienə di voglia di fare, e il giorno dopo affondi sul divano. Non è solo l’umore. Non è colpa tua. È energie che ti abitano.
Secondo la filosofia dello yoga, tutto ciò che esiste è mosso da tre forze. Tre qualità della natura. Tre dinamiche sottili: rajas, tamas, sattva.
Non sono idee. Sono ciò che ti spinge, ti spegne, ti lascia vedere.
Rajas è energia in espansione. È desiderio, slancio, ambizione. È quella voce che dice: vai, fai, migliora, conquista. Ha dentro qualcosa di affilato. Ti accende ma, se resta troppo a lungo, ti brucia.
Rajas è il caffè di troppo. Le dieci tab aperte nella mente. La corsa che non finisce mai — anche quando ti sembra di vincere.
Serve. Senza rajas, nulla si muoverebbe. Ma se ti ci identifichi, ti consumerà.
Tamas è l’opposto: pesante, denso, oscuro. È la forza che trattiene, rallenta, chiude. È la stanchezza che diventa inerzia. La paura che diventa blocco. Il non voler cambiare.
A volte ti protegge: tamas ti fa dormire, ti fa rilassare quando serve riposo. Ma se resta troppo, diventa nebbia. Lento affondare. Incapacità di reagire.
Non è da combattere. È da riconoscere. Perché sotto, spesso, c’è qualcosa che vuole essere visto.
Sattva non è felicità. È chiarezza. Non ti esalta. Non ti spegne. È il momento in cui non vuoi più niente. Solo restare lì, a vedere le cose come sono. Esattamente cosi come sono.
Sattva è presenza. Silenziosa. Leggera. Intatta. Non ha bisogno di nulla. Ma arriva solo quando rajas ha smesso di agitare, e tamas ha smesso di coprire.
Non puoi forzarlo. Puoi solo fare spazio.
Non c’è un guna buono e due cattivi. Ogni forza ha un ruolo. Rajas accende il movimento. Tamas lo rallenta. Sattva ti fa vedere cosa c’è davvero.
Li attraversi tutti, ogni giorno. A volte nello stesso respiro. La pratica non è evitarli. È riconoscere chi sta parlando, e non confonderlo con te.
Quando riesci a vedere il guna, e smetti di identificarti, qualcosa dentro di te si sposta. Non diventi un’altra persona. Diventi un'osservatore gentile.
E forse è lì, in quel punto senza urgenza, che inizia davvero lo yoga.
Non si può forzare la chiarezza. Sattva non è uno stato che si conquista. È ciò che rimane quando il rumore si placa.
Non si tratta di diventare “calmi”. Non si tratta di reprimere il fuoco o cancellare l’ombra. Si tratta di guardare bene.
La pratica comincia quando impari a notare rajas — senza inseguirlo. Quando riconosci tamas — senza affondarci. Quando scegli una parola più lenta, un cibo più vivo, un pensiero meno rumoroso. Quando smetti di aggiungere. E lasci che qualcosa si decanti da sé.
Coltivare sattva è una disciplina silenziosa. Sta nelle piccole scelte:
– nel modo in cui ti svegli,
– in cosa lasci entrare nella mente,
– in cosa decidi di non reagire.
È spazio. È pulizia. È sobrietà interiore. Eppure, non è severo. Sattva è luce che non acceca. È presenza che non pretende. È il momento in cui smetti di voler migliorare…e inizi semplicemente a vedere.
Non dura per sempre. Arriva. Resta un po’. Poi svanisce.
Ma se lo riconosci, puoi tornare.
Ogni volta.